Gomorra – la serie non è Distretto di polizia o Don Matteo: è carne macinata, sangue e sperma primigenio tutto da seguire senza la possibilità di alzarsi dal divano. Del libro di Saviano, a cavallo tra cronaca e saggio ha poco o niente: restano gli stessi paesaggi partenopei, le Vele di Scampia, Fuorigrotta ed un respiro internazionale ( Bulgaria, Germania e Lettonia ), che questa opera televisiva ha nel suo dna. La chiave di lettura è diversa,votata soprattutto allo spettacolo puro con sparatorie, esplosioni, amori traditi e omicidi cruenti , con una colonna sonora che solo alcuni "soloni" in malafede definiscono neomelodica. Musica a cavallo tra la tradizione e l'urlo di disperazione dei quartieri più difficili della città partenopea. Suoni elettronici e la naturale tendenza del dialetto napoletano a farsi letteratura dei sentimenti e delle emozioni. L’ asse portante del racconto è l'idea della fascinazione del male, come motore di una trama sempre a cavallo tra il chiaroscuro di un racconto dai toni drammatici e teatrali, quella che ha fatto storcere il naso ad alcuni opinionisti del politicamente corretto, che vede una camorra fatta di personaggi omerici nella loro folle corsa al potere, che rischia di raccontare i boss e i loro attendenti come antieroi da imitare per i tanti “idioti dell’orrore”, come cantava Battiato trent’anni fa.
Il cast di Gomorra non è composto da nomi altisonanti per il grande pubblico, attori comunque perfetti nel loro ruolo, con l’aggiunta di una spontaneità di stampo neorealista. La serie è claustrofobica, nichilista, non c'è redenzione, racconta un estetica dell'orrore quotidiano, che tutti cercano di nascondere per un malinteso senso di vergogna, che colpisce chi non vuol vedere oppure chi pensa che Napoli non sia specchio del mondo, ma un microcosmo popolato da diavoli senza possibilità di redenzione
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