Il
libro di Pino Aprile non è un saggio storico, la ricerca scientifica delle
testimonianze oggettive del passato non è il “forte” dell’allievo di Sergio
Zavoli.
Aprile
è un giornalista che mette passione in tutto quello che scrive, se poi si
tratta della sua amata terra allora il suo stile diventa corrosivo, quasi
acido.
C’è chi ha ravvisato nella
stesura del libro Terroni , diventato ormai bestseller della saggistica di
questi tempi, un urlo culturalmente liberatorio e di riscoperta verità delle
masse di diseredati meridionali che per un secolo e mezzo hanno sofferto le
vessazioni di un “popolo di conquistatori”.
Conquistatori, che uccidono
con metodi scientifici e calcolati inermi uomini che tanta fiducia avevano
riposto in questi soldati, poco soldati, che erano venuti a liberare masse di
uomini sottomessi al potere secolare di feudatari e "campieri” violenti.
Raccontare certi avvenimenti
storici, alcuni dei quali suffragati da prove oggettive, non è comodo in questi
tempi di revisionismi storici e tentativi disgreganti di una presunta unità
statale faticosamente raggiunta.
La storia ufficiale ci parla
di una “cavalcata” eroica di giovani eroi, guidati dalla vitalità della loro
giovane età e da ideali nobili ed universali.
Uno stato vecchio ed
arretrato, istituzioni e burocrazie lente e vessatorie, un sistema economico
arretrato e culturalmente inadeguato.
Briganti violenti, rozzi
plebei, quasi primitivi opponevano la loro “gretta” resistenza a questi
portatori sani di democrazia e sviluppo.
Sarà vero tutto questo
racconto che fin dalle pagine dei sussidiari delle scuole elementari,
riempivano le nostre noiosissime ore di storia raccontate da “funzionari
pubblici” costretti a recitare il copione della retorica patriottarda “eran
trecento, erano giovani e forti e sono morti”, oppure bisogna riconoscere che
le rozze dispute vetero culturali delle valli bergamasche, avevano un fondo di
verità?
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