giovedì 25 giugno 2020

Silenzio, solo silenzio.

Certe notizie ti franano letteralmente addosso, spesso arrivano a "colpirti" senza che tu abbia il tempo di capire e allora smarrito nel bosco delle non risposte; la domanda te la fai lo stesso.
Una domanda semplice, secca, asciutta di quelle che pur volendo non riesci ad evitare.
Perché togliersi la vita con un gesto volontario e lucido? Perché farlo nei giorni di festa che improvvisamente e inesorabilmente diventano tristi?
Ma soprattutto perché molte volte, come ha scritto un amico in un post che ho appena letto, spesso a farlo sono gli ottimisti, quelli per intenderci che guardano alla vita come ad una irripetibile occasione.
Di risposte non ne ho e penso che nessun essere senziente mediamente intelligente ne abbia, tranne quei pochi spiriti eletti che dicono di trovare conforto nel dettato religioso.
Ho sempre pensato che il suicida percorra con estrema fatica gli ultimi momenti della sua esistenza, che lo faccia al buio camminando a "tentoni", e che non riesca nemmeno più a pensare che ci sia una via d'uscita alla sua situazione.
L' unica cosa che non si deve fare è mettere sopra questo gesto estremo il "bollo" delle finte certezze e delle proprie convinzioni proponendo a chi in questo momento soffre soluzioni per alleviare il dolore di una fine tragica.
Il nichilismo del suicida merita silenzio e calore umano solo quello, chi parla di comprensione e perdono sbaglia.
Nella comprensione e nel perdono si da per scontato l'errore e il suicidio non è errore nel senso etimologico del termine, il suicidio è
un "incidente" di quelli che non vorresti mai fare ma che spesso ti aspettano nell'angolo più buio della tua coscienza di essere finito e imperfetto.

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