Una corsa in stazione, un treno che parte, arrivo a Bologna, fermo su una panchina. Salta la coincidenza, cambia il treno, il mio vagone è popolato da fratelli dalla pelle color ebano. Non ho posto, pur avendolo prenotato.Il mio panino, nel bagaglio veloce inizia ad ungere i miei libri, non ho fame, ma ne sento l'odore, mi basta. Il treno parte, macina chilometri, luci e sfondi nella notte cambiano, ho un foglio di giornale, lo stendo per terra, ma non mi siedo; gente anche nei corridoi, ad un certo punto il vociare caotico e indistinto di mille idiomi, si fa silenzio. L'aria fuori è umida, dal finestrino quelle che prima erano luci di mille colori, si uniformano diventando bianche quasi diafane, forse sono i banchi di nebbia di un inverno che sta per finire, più umido che freddo. Sto correndo, non so perché, come faccio ogni quindici giorni, tagliando in due lo stivale. Le mie cuffie passano ormai da ore una musica ipnotica, catartica, suggestiva, lenta. Robert non canta, biascica parole come solo lui sa fare, sapientemente incollate ad un tappeto acustico di straniante meraviglia. Finalmente l'alba, il Vesuvio in lontananza,mi porta nelle narici odor di caffè dentro termos improvvisati e nebbie che si sollevano. Mi accorgo che il mio vicino di posto, un togolese alto prestante e triste, mi ha appena sorriso, nonostante per tutta la notte abbia ascoltato dalle mie cuffie una musica non richiesta, mi dice che il giorno prima aveva trascinato il suo "primitivo" carretto di mercanzie all'interno di un mercato di una cittadina del ferrarese, in realtà vorrebbe mandarmi "affanculo" ma non lo fa,visto che non gli ho fatto chiudere occhio con la mia musica del cazzo,deve risparmiare un po' di forze, perché il mese di marzo, la mattina presto, nella Piana di Gioia Tauro, il freddo e l'umidità ti svuotano dentro. Il tempo passa, il treno inizia a dondolare con una certa frequenza, capisco che stiamo per arrivare, perché fuori gli alberi d'olivo la fanno da padrone,prima di entrare nelle regno delle anime morte che raccolgono agrumi squisiti. Alla stazione mio padre mi aspetta, mi guarda e mi dice lapidario " non hai dormito? " Io non rispondo, abbozzo un sorriso e ci dirigiamo verso una panda bianca che nel parcheggio adiacente alla stazione ci aspetta. Robert, continua a cantare beffardamente una " lullaby ", ma soprattutto non capisco, per quale arcana e oscura ragione ho fatto un viaggio di quasi diciotto ore, su un carro bestiame, anche perché dopo settantadue ore è previsto il ritorno.
" Improvvisamente mi fermo
Ma so che è troppo tardi
Sono perso nella foresta
Tutto solo
La ragazza non è mai stata lì
È sempre uguale
Sto correndo verso il nulla
Ancora e ancora e ancora".
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