domenica 26 aprile 2020

Di Montale e di parole abusate.

Non chiederci la parola

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato / l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco / lo dichiari (…)

In Ossi di Seppia, del 1925, Eugenio Montale sembrava togliere ogni fiducia alla parola, descrivendo l’impossibilità di decifrare l’animo oppurecon le parole e di renderlo sulla carta. Eppure continuava a farlo, come tutti i poeti che lo hanno preceduto e come tutti quelli che verranno, finché esisterà la poesia.
La parola, nella poe0o0solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Dopo la prima guerra mondiale, il poeta si dichiarava così antifascista e innocente e chiariva al lettore di non essere in grado di regalare una parola profetica, cosa che era successaP nel Simbolismo francese, o in D’Annunzio.
Voi, mie parole, tradite invano il morso / secreto, il vento che nel cuore soffia. / La più vera ragione è di chi tace.

Con le parole avviene quindi il tradimento del segreto del nostro essere, scrive ancora Montale in Ossi di seppia.
Albert Mehrabian, psicologo statunitense di origine armena, nel 1967 sosteneva che il 55% delle nostre impressioni e sensazioni sulle persone deriva dai loro movimenti del corpo e il 38% dalla loro voce. Solo al 7% si riduce l’importanza delle parole dette: esse non rimangono molto impresse nella memoria. Il vecchio proverbio italiano allora aveva ragione? “Il silenzio è d’oro, la parola d’argento”. Risuona uguale nella penisola iberica: “La palabra es plata, el silencio oro”.
Eppure, dalla Spagna, il poeta Blas de Otero, di Bilbao, nel 1955 chiedeva:

Pido la paz y la palabra
(tr. Chiedo la pace e la parola)

Questi versi rivendicavano fortemente l’importanza della parola, accostata all’ideale di pace, che comunque la precedeva.
La parola è spesso simbolo della possibilità di partecipazione, è l’espressione di un’opinione e la forma basilare di potere. È con le parole che un politico persuade i suoi elettori, parole abilmente accostate seguendo ancora le antiche regole della Retorica.
L’imperativo “Silenzio!” si sente usare in diversi casi: è un modo per educare i bambini, per dire a qualcuno che le sue opinioni non valgono, per stabilire una priorità, ad esempio durante le lezioni a scuola o nelle sale dei teatri.
Nelle canzoni italiane, la diatriba silenzio/parola ha guidato alcune tra le più belle “poesie in musica” dagli anni ’60 a oggi. “Pensieri e parole” di Lucio Battisti e Mogol ha quel conflitto nel titolo e “La donna cannone” di De Gregori mette al centro dell’amore il silenzio: E senza dire parole nel mio cuore ti porterò.
“Quello che le donne non dicono” di Fiorella Mannoia (scritta da Ruggeri e Schiavone) fa notare che l’apparenza e quello che si dice possono non corrispondere in pieno all’interiorità. Parole, soltanto parole, parole tra noi, cantava una delusa Mina, negli anni ’70, in una canzone che raccontava la storia di una donna annoiata dalle continue parole del proprio uomo, capace solo di illuderla.
Le mie parole sono sassi: Samuele Bersani, pochi anni fa, dedicava un’intera canzone alle parole, nell’album “Che vita!”.
E nel panorama internazionale abbiamo esempi eccezionali a favore del silenzio: “The sound of silence” di Simon & Garfunkel e il capolavoro dei Depeche Mode, “Enjoy the silence”:
Words are very unnecessary, they can only do hurm.
Ma con le parole, secondo Sigmund Freud, si può guarire dall’ isteria e da altri mali psichici: solo parlando, raccontando i propri stati emotivi e il proprio vissuto, si circoscrive il malessere per farlo uscire da sé.
Con le parole, inoltre, si seduce: lo insegnano Cyrano de Bergerac nella letteratura francese e Le mille e una notte nella letteratura araba, per esempio. Anche Paolo e Francesca si seducono vinti dalle parole di un libro che stanno leggendo insieme, nella Divina Commedia.
La morte è “muta parola”, una parola silenziosa secondo Ungaretti: Morte, muta parola (“Canto Secondo”, 1932), in Sentimento del Tempo.
Con il silenzio risponde l’angelo custode di Rafael Alberti in “Paradiso Perdido”, lirica che apre la raccolta Sobre los angeles (1928). Il poeta chiede al proprio angelo dove si trova il Paradiso, e con rammarico riporta il suo silenzio, lo stesso, d’altronde, di cui si lamentava Santa Teresa d’Avila nella poesia: “Decid, cielos y tierras”.
Silencio. Màs silencio. Scrive ancora Rafael Alberti nella stessa lirica: i suoi tentativi di risvegliare l’angelo, che appare morto, sono seguiti dal silenzio. È motivo ricorrente quello dell’assenza della parola, in questa raccolta del poeta surrealista spagnolo.
Forse, per poter dire davvero se è più importante il silenzio o la parola, dobbiamo fare prima un po’ di silenzio.
 

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