Da un po' di tempo pratico la difficile arte della fragilità.
In mezzo ad una temperie culturale che segna il tuo percorso terreno in tutt'altra direzione, penso che questa scelta sia davvero rivoluzionaria.
Non certamente per i destini dell'umanità, non sono così sciocco da credere a simile panzana.
Rivoluzionaria perchè credo fermamente che bisogna avere coraggio, quello che ti porta alla faticosa arte dell'ascolto, nel ritrovare nel viso dell'altro da te, quella scossa elettrica che da un senso alla nostra storia, da raccontare scandendo ogni singolo secondo.
Una storia fatta di sguardi e parole, di silenzio e di tempo lento che inesorabile scorre.
Praticare fragilità significa anche ritornare bambini, come quando con occhi pieni di stupore credevamo a ciò che vedevamo, con pensieri e emozioni non inficiati dalle sovrastrutture ideologiche del produrre e dell'apparire.
Fragilità è anche lasciar parlare il proprio corpo, perchè ogni età ha la sua bellezza, nervosa e veloce da giovane, riflessiva e costruttiva da adulto, serena e saggia da anziano.
Praticare fragilità costa, ha un prezzo enorme, che è quello di una visibilità molte volte fraintesa agli occhi degli altri, ma porta anche diversi benefici: la serenità di chi non si prende troppo sul serio, la consapevolezza della propria esistenza in funzione di uno scopo, ma soprattutto il fatto che si vive solo se, pur in mezzo alle procelle della vita, hai braccia forti e mente salda, perchè la linea dell'orizzonte non è mai troppo lontana.